Religiolus – Vedere per credere

Uno sguardo satirico e controverso sul ruolo istituzionale delle religioni nel mondo. “Religiolus” segue il comico americano Bill Maher nei suoi viaggi presso i siti religiosi del mondo e nelle sue interviste con numerosi credenti.

Un documentario che forza il paradosso della fede, ma soprattutto mette in risalto gli aspetti estremi e quindi ridicoli della religione positiva (secolarizzata).

Prodotto nel 2008

Genere: Documentario

Durata: 101 min.

Al ritorno dalla valle degli Elfi

Vi chiedo di non rendere questo post fonte di scandalo per voi, sia per un tratto che ho scritto sia per come è stato scritto tutto il post. Raccontando questa avventura elfica ho deciso che sarebbe uscita la parte più vera di me, perchè, semplicemente, certe esperienze come questa sono incisive per la personalità e mettono a nudo certi modi di essere più autentici contro formali ipocrisie. Questa esperienza, come mi ricordava sempre Attilio, è come uno specchio, ti mette a nudo e ti dà la possibilità di guardarti dentro, effettvamente spetta poi a noi su come, quanto e quando far fruttare la stessa. Nel tempo, ovviamente, certi momenti dell’esperienza elfica, e il racconto di esperienze che sto vivendo attualemente, mi ritorneranno in mente durante la vita, è più che naturale, la memoria funziona per rievocazione e somiglianze e certe cose, apparentemente lontane, possono far rivivere e approfondire quel che si è già vissuto. Amici mi hanno detto che non ho raccontato le cose più belle di questa esperienza, ma non posso o non riesco a raccontare quel che le emozioni provano, quello che le sensazioni risvegliano. Vi dico solo, amici miei: non abbiate paura del nuovo, vivete!

Vi scrivo adesso dopo un bel po’ di tempo. Sono al ritorno dalla valle degli Elfi nella sala di attesa della stazione di Bologna, ho lo zaino molto pesante e, per come sono conciata, sono d’aspetto pari al barbone che mi è seduto di fronte; ho il treno espresso diretto per Bari alle 23:15 e adesso invece sono ancora le 18:20. Un caffè e un cornetto dal nome nutelloso mi hanno fatto passare un’oretta qui in stazione, per il resto è ancora da vedere, deve ancora arrivare. Posso dirvi che sono distrutta, ma piena e felice per questa esperienza. Non nascondo la malinconia che provo, l’aver lasciato gli amici del villaggio Aldaia, non ho avuto, purtroppo, la possibilità di salutare tutti, alcuni mancavano quando io e Attilio siamo dovuti scendere a Piccolo Burrone per la festa della luna. E’ un momento difficile per me adesso, tra la stanchezza, la sporcizia che ho addosso e il dolore addominale che mi è venuto, sarà stato il brusco sbalzo alimentare in quanto, nell’ecovillaggio, ho mangiato prevalentemente alimenti autoprodotti. Adesso so solo che vedo le cose in modo diverso, in un’altra occasione, forse, mi sarei seduta lontana dal barbone come hanno fatto tutti i presenti nella sala d’attesa della stazione, invece, istintivamente, senza riflettere, mi è venuto di sedermi esattamente di fronte al barbone (non accanto, ho l’impressione di disturbarlo); lo sento vicino a me, lo vedo come uno di quei viandanti che il villaggio elfico ospitava, anche solo per una notte.

Piccola pausa: scarica di dissenteria… forse sbalzo d’aria (condizionatore nella sala d’attesa), o di alimentazione, o di visione di vita, non lo so fate voi, una ragione deve pur esserci.

Dunque, dicevo… quel barbone è quel genere di persona che passava dall’ecovillaggio Aldaia e si trovava a raccontare la sua storia, la sua vita, raccontare anche storie che vanno dal divertenti alle assurde, insomma uno dei personaggi di una sera che concedevano un pezzo della loro vita narrata. Adesso mi sento più vicina a loro , ai viandanti stanchi , mi sento anch’io un po’ senza tetto, un po’ straniera in questa triste frenesia dei viaggiatori dai vestiti comodi, ma sempre belli.

Quella casa aperta al mondo, quella comunità che accoglie il nuovo con ovvia naturalezza… all’improvviso ricordo quando abbiamo fatto il pane, il pane elfico dal grande forno a legna, tutto questo lo ricordo mentre due ragazzi americani seduti di fronte, ma di spalle a me (posizione dovuta dal nuovo posto derivato dalla pausa) che, conversando, bivaccano mangiando cibo del McDonald.

Ciò che mi è intorno lo sento così lontano da me, così distante, al punto da sentire me stessa così sporca e imbruttita dalla stanchezza.

Bologna 17 agosto 2008

Cambiare “il mondo” lavando i piatti

Le rivoluzioni si possono fare nei piccoli passi del quotidiano, ogni piccolo cambiamento nella propria vita è un progresso del proprio essere.

Dal primo giorno della mia permanenza nella Valle degli Elfi, la prima regola di cui il mio amico Attilio mi ha informata è che ognuno deve lavare il piatto, o altro, che ha sporcato. Questa sembra una regola sciocca, ma se dovessimo pensare, la mansione che ognuno può assumere sgravando ad un altro l’impegno di lavare i piatti di tutti i commensali permette, appunto, di non far pesare a uno solo il lavoro. E’ una specie di spontanea catena di montaggio. Il lavare altre cose come i tegami ecc. sono lasciati a discrezione personale, praticamente ognuno può decidere liberamente se fare in più anche il tegame sporcato per cucinare, tutto comunque viene lasciato a propria discrezione. La spontaneità della libera scelta, quindi, mette nella condizione di decidere volontariamente di lavare quei tegami in più. Personalmente credo che la soluzione migliore potrebbe essere, forse, oltre al fatto che ognuno si lavi il proprio piatto, ognuno, a turno ciclico, potrebbe lavare solo un tegame che si è dovuto sporcare per cucinare. In altri termini, se si dovessero sporcare ad esempio tre tegami, a turno variabile ognuno, volontariamente, lava uno solo degli utensili sporcati, uno lava un tegame, un altro lava l’altro tegame, un altro ancora lava l’altro tegame ancora; questo per non far gravare la pulizia di tutto gli utensili usati, al di là del proprio piatto, ad uno solo. Sarebbe davvero un buon modo di vivere la commensalità senza poi doversi lavare pile di piatti e tegami che ci ritroviamo alla fine di un pranzo, soprattutto se ci sono stati ospiti. Ora, tutto questo è singolare perchè, prima di tutto, non si concepisce l’ospite come colui/lei che deve essere servito, ma l’ospitato è davvero messo alla pari dell’ospitante, riflettete: se questa non è una forma sincera di vera ospitalità?! Far sentire l’ospite come uno di casa al punto da fargli lavare il suo piatto, semplicemente trattato al pari di tutti, è qui che si gioca l’accorciamento della distanza fra l’ospitato e l’ospitante, l’ospitato, infatti, entra già negli usi del contesto in cui si trova. Tutti, quindi, hanno più o meno lo stesso ruolo in queste piccole cose, o abitudini quotidiane, si crea così l’uguaglianza che non è un violento appiattimento, bensì un equo ruolo sociale nella convivenza comunitaria e, nello specifico caso, nella commensalità. Tutta questa visione, infine, va ben oltre l’idea di turismo e turista, avventore distaccato dei luoghi, consumatore del tempo e degli spazi, bensì la persona diventa parte integrante del contesto, si adegua, ma porta con sè comunque il suo vissuto che arricchisce lo stesso luogo. L’Io si fa custode e fonte di arricchimento di quell’esperienza.

Ripeto qui quello che ho scritto nel post precedente, in questo modo si vive il da farsi in forma spontanea, proprio perchè ci si sente volontariamente, per un senso di piacere, utili alla comunità. La regoletta elfica, quella che ognuno si lava il proprio piatto, credo che abbia in sè un grande valore, ovvero l’indicare che nessuno è il servo di nessuno; è un piccolo gesto quotidiano che entra a far parte delle abitudini culturali degli individui, per questo ho iniziato il post con la consapevolezza che: le rivoluzioni si possono fare nei piccoli passi del quotidiano…! E, anche per questo, ad oggi, compio un piccolo sforzo per dare seguito a questa semplice abitudine nella mia casa, di modo che possa ricordarmi e mettere in pratica che nessuno, ovunque, sia il servo di nessuno.

cellula.indipendente@gmail.com