Il mio stato di “demoralizzazione” non sembra, non si vede, come dice lo psicologo, quando uno sta male, in quel senso, indossiamo le maschere e ci diamo in pasto alla mondanità (questo lo deduco io). Sento di aver perso le parole, quelle parole che un tempo battevano come tamburi nella mia testa. L’entusiasmo nel fare, nel concretizzare è venuto meno, non ci sono le energie. La mia amica mi dice che se adesso devo stare male, devo vivere fino in fondo questo stato. Ho quasi la nausea, uso sinonimi per chiamare in un altro modo la depressione: sono la caricatura di me stessa.
Nella vita ho capito l’importanza dell’espressione, intendo dire l’importanza della possibilità e/o capacità di esprimersi, un canale non trovato è l’anticamera di un disagio o disturbo psichico, perché prima o poi quel che abbiamo si esprime o in forma positiva o, purtroppo, in modo distruttivo. Chi ha ricevuto un’educazione borghese può avere molta difficoltà a capire certe cose, o forse non tanto, essendo proprio quell’educazione ben pensante la causa socio-antropologica del disagio: la formalità è la malattia dell’anima libera. Quando si attraversa un periodo difficile, chi si è sempre messo in discussione fino all’estremo, chi sente di avere comunque carenze affettive originarie, e chi vive in continuo stato d’assedio, trova, a volte, sfogo nel lato oscuro del proprio io. L’anima si ribella, ma prima di ribellarsi al mondo si ribella a se stessa, si apre un periodo in cui si tende a farsi del male e purtroppo questa tendenza arriva anche a concretizzarsi. Il lato oscuro di sé vuole evasione. Gli alcolici, le droghe, la musica ad alto volume sparata attraverso gli auricolari, ma anche le discoteche, oppure la politica quando diventa fanatismo, tutto questo è sintomo di non senso, è il chiaro sintomo dell’emotività in crisi. In Italia, noi ragazzi, siamo cresciuti con i cartoni animati giapponesi e i film di Walt Disney dove la femmina aspetta il principe azzurro e il maschio è colui che non deve chiedere mai, e tutto questo l’abbiamo ricevuto soprattutto attraverso Santa Televisione, la televisione commerciale che ci ha ben educati ad essere sempre sorridenti e vincenti, sempre perfetti per ogni occasione, sempre col vestito giusto e la battuta pronta; l’uomo che sussurra, l’indecisione, le domande, sono elementi, questi, che risultano, in questo mondo così concepito, perdenti, inadeguati. Il dolore, l’insicurezza, l’introversione, come le gioie più pure, i sentimenti ecc. sono gli elementi dell’anima quasi diventati un disturbo, l’imprevisto indesiderato, o “l’ospite inquietante”. Andarci a nozze col lato oscuro, con la depressione, andare a cena col mostro, direbbe Giorgio Nardone, per affrontare il sé più intimo che non sempre ci porta la buona novella, sembra adesso la via giusta: l’io autentico non conosce sovrastrutture borghesi perché semplicemente è. Noi ci stupiamo facilmente, facilmente qualcosa diventa fonte di scandalo, lo stupore è la scintilla che destabilizza l’abitudine. Quando un’abitudine è sempre stata orientata verso una certa direzione è difficile riuscire a cambiare rotta. L’abitudine è la droga naturale della mondanità e, quindi, dei costumi sociali, questi ultimi si cristallizzano, si fanno forma, la parte più evidente di un popolo, di un individuo ecc. e, quando la mente non conosce slanci/sfide, si crede solamente che quella forma è già tutto, che la realtà è quel che si vede semplicemente. Le anime più pure sono le più ribelli, ribelli nei confronti di quelle sovrastrutture che sono l’illusione di una vita reale, come se fossero queste la totale realizzazione di essa. L’io autentico urla silenziosamente il suo disagio quando è in contatto con le cristallizzazioni che la stessa mente ha creato. Allora mi chiedo: invece di farci soffocare dalle cristallizzazioni, per esplodere poi nelle nevrosi, perché non impariamo ad ascoltare l’io? Perché non ci andiamo a nozze con i suoi disagi, i suoi dolori, le sue gioie autentiche, le sue verità? Perché non tocchiamo il fondo e non concretizziamo quell’educazione emotiva di cui il nostro tempo ne ha un disperato bisogno? Questo è il lavoro collettivo e l’esame di coscienza che ogni gruppo o piccola società di uomini/cittadini organizzati dovrebbe fare e farsi, questo, credo, sia un buon proposito all’alba di questo nuovo decennio.
Buona luna nera a tutti!
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